Certe volte sembra che a Napoli non si possa far teatro senza parlare di Napoli. Come una madre invadente, la città pretenderebbe d’esser presente su qualsiasi scena, informando di sé ogni rappresentazione realizzata sul suo territorio. La terza edizione del Teatro Festival Italia non sembra sfuggire a questa magnetica inclinazione: e così, fra un tango ed una telenovela napoletani, e dopo Dostoevskij spedito ai quartieri spagnoli, è la volta della Mahagonny brechtiana che – su commissione del Festival stesso – s’invasa di allusioni e riferimenti a Partenope; o così almeno prometterebbe il titolo ampliato, Ascesa e rovina della città di Mahagonny - Var. 1 passaggio a Napoli, nonché l’attribuzione integrale della drammaturgia all’autrice-regista Lisa Ferlazzo Natoli.
In verità il compito viene assecondato con un paio di semplici espedienti che restano tuttavia a margine del testo brechtiano: la presenza di un tecnico del catasto che studia il piano regolatore cittadino e la proiezione sul fondale dei fotogrammi finali delle Mani sulla città di Francesco Rosi. Per il resto la messa in scena ripercorre essenzialmente il lavoro di Brecht, seppure con la considerevole assenza della musica di Kurt Weill; ciò che lascia un po’ debole la sostanza testuale, perché naturalmente un libretto, ancorché parafrasato, non possiede la forza di un’autonoma scrittura teatrale.
L’esito drammaturgico è perciò francamente modesto: la lineare parabola anticapitalista dell’originario testo di Brecht resta denudata in tutta la sua spoglia semplicità, mentre l’innesto del “passaggio a Napoli” appare come una giustapposizione forzata e inorganica – confidiamo che non sia il solo particolare che fa di questo spettacolo una “prima assoluta” rispetto alle precedenti messe in scena della Natoli. La regia lavora sulla coralità dell’esecuzione, imprimendo una certa vivacità alla scena; il clima emotivo mantiene costantemente i toni di una generica festosità, interrotta solo a tratti dalla cupezza notturna del tecnico al lavoro. Non manca, come inesorabile atto riflesso, l’inserto di una canzone dialettale a connotare la napoletanità; e stavolta è «Palummella zompa e vola», intonata dagli attori sulle stesse assi da cui dieci giorni prima si era sprigionata la «Tammurriata nera» di Football, football.
Buona nel complesso la prova degli attori tra i quali nominiamo, per la miglior presenza sulla scena, Simone Barraco (il procuratore), Selene D’Alessandro (la vedova Begbick) e Fabrizio Lombardo (il tecnico del catasto).